Non è una poesia, quella di Grasso, che ha bisogno di lunghe introduzioni e specificazioni, anzi, scivola via da ogni contesto che costringe e tenta le massime verità. Quando ho chiesto ad Elio un contributo autocritico mi ha risposto se avesse potuto, piuttosto, inviarmi dell'altro. Nella sua lungimiranza e non tradendo le mie aspettative, mi ha mandato uno splendido scritto del quasi dimenticato Corrado Costa - poeta emiliano militante nel Gruppo 63, disegnatore, grafico ed autore per il teatro - tratto da un intervento pubblicato in "Tam Tam" 3/4, 1973.
E non c'è poi tanto altro da aggiungere.
a.r.
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Sembra che non ci sia nessun’altra possibilità per parlare (in poesia), che parlare per mezzo di qualcosa che somiglia alle immagini. L’immagine degli imagisti (sensuale) l’immagine dei surrealisti (artificiale) la ‘deep image’, ora, che si basa sulla percezione come strumento di visione. I poeti si costruiscono una coscienza basata sui cinque sensi, tesi fino ai limiti di rottura della percezione. Non ci sono indicazioni di oggetti, c’è solamente la costruzione dell’immagine e l’immagine non è mai sola. Essa è tutto ciò che c’è sopra sotto a destra a sinistra dell’immagine.
A chi mi chiedesse che dimensioni ci sono sopra sotto a destra a sinistra del territorio dell’immagine, risponderei una poesia-schermo, che mette in primo piano l’immagine, e più l’immagine viene avanti, più si spalanca territorio alle sue spalle (un fotogramma di Eisenstein o, ancora meno, di un film western). Si capisce così che il poeta ha più cose da dire di quante non ne stia raccontando. Per raccontare servono termini di riferimento, i termini di riferimento sono le immagini, ma le immagini sono in contraddizione con il loro territorio che è un territorio troppo vasto da occupare (le teorie di Fludd). Dire tutto quello che è possibile attorno all’immagine e poi nasconderla, buttarla via. Tutto quello che rimane dopo averla buttata via, è la poesia.
Corrado Costa
Elio Grasso è nato a Genova nel 1951. Poeta, critico, ha pubblicato le raccolte Avvicinamenti (Ripostes, 1983), L'angelo delle distanze (Edizioni del Laboratorio, 1990), Nel soffio della terra (Guardamagna, 1993), La soglia a te nota (Book Editore, 1997), L’acqua del tempo (Caramanica, 2001), Tre capitoli di fedeltà (Campanotto, 2004); il libro di poesia e prosa La prima cenere/Conservatori del mare (Edizioni del Laboratorio, 1994); le plaquettes L'alleanza della neve (Laghi di Plitvice, 1996), Un mattino da esodo (Dialogolibri, 2001), Sei studi e una stazione (signum edizioni d’arte, 2003). Ha vinto nel 1988 il Premio Internazionale E. Montale con la silloge Il naturale senso delle cose (nell’antologia di Vanni Scheiwiller "All'insegna del pesce d'oro", Milano 1989). Ha tradotto i Four Quartets di T.S. Eliot (Palomar, 2000) e curato una breve scelta dallo "Zibaldone" di G. Leopardi, Un solido nulla (Pirella 1992). È redattore di “Capoverso” e “Niebo, collezione di poesia contemporanea”. È stato tradotto in inglese da E. Di Pasquale e in francese da J.-B. Para. In uscita, per Effigie, il lungo racconto Il cibo dei venti.
Versi lunghi e senza pause, o meglio, con pause programmte per non essere loro le protagoniste di queste poesie che contaminano e manipolano magistralmente registri e forme lontanissimi tra loro. Conoscevo Elio Grasso, o meglio un altro Elio Grasso, quello di "Acqua del tempo", perché la sua capacità di rinnovamento evidenziata in questi due testi ci consegna un autore capace di un rinnovamento radicale, sempre all'altezza di se stesso e forse persino superandosi. La poesia non è mai statica. La bravura (o insipienza) di un poeta si giudica anche dalla sua capacità di ri-creare se stesso quando si presenta una svolta artistica o esistenziale importante. Un caro saluto a Elio Grasso e ad Anna. Stelvio Di Spigno
RispondiEliminaSi resta colpiti dalla forza espressionistica delle immagini incastrate e costrette in versi metricamente chiusi che sembrano il rifugio di quegli artisti un pò barocchi che si sforzano di contenere l'urgenza delle loro pulsioni poetiche all'interno di strutture metriche rigide per evitare che possano debordare nel patetico ( è anche una forma di estremo e residuo pudore, penso a un certo Raboni, alla Valduga, a Frasca).
RispondiEliminaLo stile è certamente potente ( tanto da ricordarmi Antonio Porta) . L'interrogativo è : si tratta di epigonismo o di embrioni di un nuovo inizio?
Si tratta di un omaggio a Adriano Spatola, non ricordato nel commento di Pelliccia - e infatti l'A.S. della dedica è lui (l'altro, L.P., è Lorenzo Pittaluga, poeta genovese morto suicida). Essere epigono di Adriano, così come di Porta, è quanto di meglio possa sperare per me che sono della stessa generazione, pur mancandomi la loro grandezza.
RispondiEliminaElio Grasso
Concordo con Stelvio. La Poesia, come la vita, quando si fa Vita, è qualcosa che si trasforma incessantemente: in maniera lenta, convogliando esperienze sulla strada della evoluzione; con stappi improvvisi, saltando passaggi, nei momenti di rivoluzione, quando il quotidiano squaderna a chi le coglie le imprevedibili prospettive di una svolta esistenziale che tutto rimette in discussione. Ho avuto il privilegio di leggere i versi più recenti scritti da Elio e posso dire che il percorso continua, si approfondisce, si scopre ancora più evocativo nella sua carnalità. Non vi vedo pudore, né autocensura, solo libertà di raccontarsi in una maniera che è intima e al tempo stesso aperta, cristallina, a volte impietosa. Essere epigoni dei grandi non è raro nella Poesia, ma è tipico di quei poeti che fanno della poesia una preziosa citazione, un esercizio di stile, un involucro prezioso destinato a contenere l'abdicazione dal rischio di essere se stessi. Non è il caso di Elio Grasso, dove il richiamo, se presente, si manifesta come memoria di affetti, di percorsi di vita e di arte condivisi, dove Vita e Poesia sono una cosa sola.
RispondiEliminaRaffaella
il pensiero di Raffaella mi trova d'accordo. Conosco parte della produzione di Elio e lui è uno dei pochi che innova e ricrea con studio raro, umiltà e dedizione alla Poesia vera. E' anche uno scrittore dalle conoscenze vastissime e questo, piuttosto che ingabbiarlo in forme d'epigonismo, gli dà l'aria di vedere, riconoscere e rilanciare tutto il bello che c'è o c'è stato.
RispondiEliminaA proposito di percorsi, rileggo sempre con piacere degli inediti di Elio pubblicati da S. Guglielmin in "blanc de ta nuque". Li linko qui per chi volesse approfondire:
http://golfedombre.blogspot.com/2010/01/elio-grasso.html
Grazie ad Elio per questo regalo (spero presto di poter riparlare di Lorenzo Pittaluga. Ho qui il suo libro postumo e vale la pena discuterne).
A Stelvio, Antonio e Raffaella grazie del prezioso passaggio.
anna
Conosco la poesia di Elio da molti anni, e da sempre mi è parsa una poesia non "carnale" ma materica, una superficie di parole che, nella sua atonalità, si oppone alla fluida cantabilità della lingua italiana.
RispondiEliminaSono felice di queste sue nuove poesie, che inaugurano una energia bellica, barocca e amorosa, nuova nel suo cammino poetico.
Non a caso accanto a lui compaiono tre poeti scomparsi ma molti vivi: il maestro zen Corrado Costa, il maestro di un'avanguardia sempre attuale Adriano Spatola, e il giovane, eccentrico Lorenzo, il cui tragico destino e le cui bellissime plaquettes io ed Elio abbiamo avuto la fortuna di portare alla luce.
Finalmente una poesia che pensa il suo futuro e non la gestione della sua inesistenza.
Marco Ercolani
Marco, sono molto felice di leggerla qui. Grazie delle precisazioni e del suo contributo.
RispondiEliminaanna