mercoledì 18 aprile 2012

Luciano Mazziotta - "Promemoria"







C'è una sorta di precisa chirurgia nella scrittura di Luciano Mazziotta, sia che si tratti di sue produzioni, sia che si tratti di critica su scritture altrui. Non sarà certo un caso che Luciano si sia dedicato, nei suoi anni universitari, allo studio di testi antichi circa il rapporto tra medicina e filosofia. Mazziotta, classe 1984, che ha esordito nel 2009 con "Città biografiche" (ed. Zona) è un classicista ma ha assorbito nel tempo tutta una serie di imprescindibili presenze novecentesche, virando più verso schemi, stili (e linee) sperimentali ma conoscendo anche l'opposto di questi, in un lavoro costante e densissimo. Se nel suo libro d'esordio spiccava una propensione alla decodificazione del linguaggio, alla sua destrutturazione e ricomposizione secondo linee e significati sghembi, mettendo a punto virate e ricomposizioni illuminanti e - a tratti - anche stranianti, negli ultimi testi (pubblicati anche su Nazione Indiana) la "nuova" ricerca si snoda attraverso un linguaggio più piano, decisamente rappacificato con i segnali esterni, dunque solidissimo, ma affonda poi (e questo è il punto estremamente interessante) in una dimensione di segni all'apparenza impercettibili, fischi e inciampi, strutture-dietro-le-strutture che costituiscono il mondo sommerso col quale fare i conti dal mondo emerso. Il godibile testo in prosa - a corredo del suo inedito, Promemoria (da "Previsioni e lapsus") - che mi ha mandato parla da sé, spiega benissimo il senso di questa mia brevissima incursione nelle sue intenzioni.





Promemoria



...e dei lapsus, che farne dei lapsus?
Se ogni volta che inciampi interrompi
un tuo ciclo vitale, è per perdere il filo,
per riprendere fiato e iniziare
da un indizio non valutato.



La linea si spezza: è naturale si spezzi.
Prendi ad esempio la Karl-Marx-Allee:
la memoria è geometrica, la storia è
compatta, compatto è l'asfalto:
non ci sono buche né vuoti.
Gli edifici non ammettono fughe
né pause, se pausa è un salto tra tempi,
da un ordine ordinario a un atto involontario:
come quando ti chiamo col nome
cui vagamente pensavo e diventi
proiezione casuale di una faccia
che niente ha a che fare con l'originale.



Sì, ma dei lapsus, quanti lapsus
per fare una storia? In un'eternità
avremo tutt'al più formato un ricordo,
una vaga sensazione di memoria -
come quel rumore intermittente
della freccia avvertito in dormiveglia
dopo un lungo tratto di autostrada.



Risvegliarsi è avere scelta: uscire
dai percorsi obbligati, incontrare
tombini e sostare.
Non sono eventi ma dati,
interferenze che tessono
un tappeto di dettagli marginali
al di sotto della microstoria:
sbadigli distrazioni impulsi
o scarti
necessari:
come le parole
dette giornalmente in modo compulsivo:



tu inciampi su reperti pentole cucchiai
conservati in pessimo stato e da qui
io ti scrivo.









Piccola nota giornaliera.
Nel De memoria et reminiscentia Arisotele sostiene che ogni nostra prassi, ogni nostra azione resta "impressa", quasi come un corpuscolo, nella nostra mente, trasformandosi col tempo in quello strano fenomeno chiamato "ricordo". Non so a cosa si riferisca Aristotele in questo passo ma so benissimo che le nostre azioni sono in grande percentuale non volontarie né tanto meno eclatanti. Muoviamo braccia, diciamo parole a caso, e agiamo molto più spesso senza alcuna consapevolezza. Il cuore è un muscolo involontario e le ciglia sbattono quasi di nascosto. Per non parlare degli starnuti, del respiro di cui sappiamo dire qualcosa solo quando manca. Queste azioni non esistono eppure è la loro somma che crea una vita. La linearità della memoria coatta non permette scivolamenti: e per questo bisogna interrogarsi tra l'immenso vuoto che separa Memoria e memoria. La maiuscola non è di poco conto. Un sistema condiviso come la Memoria non può che procedere per approssimazione, non può che non escludere dal suo sistema ciò che il sistema stesso ha definito "trascurabile". Ho voluto per un giorno oppormi a questa forma di anamnesi malata ma diffusa. Ho cercato di trascurare i mirabilia approssimati. Ho comprato un taccuino e ho deciso di annotare tutto ciò che componeva la mia giornata: un totale di 159 sbadigli, 97 stiracchiamenti, indefiniti movimenti delle mani che si aggirano intorno ai 30-40 per secondo. Ho mangiato più di tre volte ma purtroppo non sono riuscito a contare tutte le volte che ho sbattuto le ciglia. Ho chiamato una persona con un altro nome per 5 volte, pur non pensando all'altro nome, forse per una strana coincidenza che tra un morso alle labbra e un passo è diventata significante. A fine giornata ero così stanco, tanto stanco che mi sembrava di aver abitato un'altra dimensione: avrei ricordato per tutta la vita i miei sbadigli di quel 13 Maggio 2011. Avrei ricordato quante volte ho scrocchiato le dita e quante chiamate ho ricevuto: 2 in totale più una chiamata senza risposta (in questo mi sono aiutato, certo, con la memoria del mio cellulare). La mia giornata si era iscritta nella storia perché avevo fatto qualcosa di così tanto strano: pensare di aver fatto altro per fare tutto il resto, e soprattutto ricordare più l'altro che il resto.

L. Mazziotta





Luciano Mazziotta è nato a Palermo nel 1984. Specializzato in Scienze dell’antichità con una tesi in Testi greci filosofici e scientifici sul rapporto tra medicina e filosofia. Tra il 2006 e il 2008 ha vissuto tra Palermo ed Amburgo, città conosciuta nel 2006 nei panni di studente Erasmus. Nel 2009 ha pubblicato la sua prima silloge di poesie Città biografiche per la casa editrice Zona. Suoi testi sono stati pubblicati sui blog "Nazione Indiana", “La dimora del tempo sospeso”, “Via delle belle donne”, "Absolutepoetry", "Imperfetta Ellisse" e "Poetarum silva" di cui è anche redattore. Ha curato la Prefazione del volume miscellaneo che raccoglie i testi dei redattori di Poetarum Silva (Samizdat 2010). Nel Dicembre 2010 suoi testi sono stati inclusi nel 21° numero della rivista internazionale di letteratura “Poeti e poesia” diretta da Elio Pecora. Ha partecipato a readings ed eventi letterari di rilievo nazionale quali “La bellezza e la rovina” tenutosi a Palermo nel luglio 2010, il V° festival internazionale di poesia di Caltagirone, l'incontro sulla poesia contemporanea "A che punto del discorso. Poeti italiani di oggi" tenutosi a Pisa nel Maggio 2011 e "La notte della poesia. Il rito della luce" di Castelbuono. Da Marzo a Settembre 2011 ha vissuto a Berlino qualità di Post-Graduate Student presso la Humboldt Universitaet zu Berlin. Ora vive a Palermo in attesa di un'illuminazione.

8 commenti:

  1. E da qui io applaudo

    Vera D'Atri

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  2. grazie del passaggio, Vera.

    Un saluto caro,
    Anna

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  3. Desueto concentrarsi sull'inconsapevole per dominarlo un po' e renderlo in parte consapevole, interessante come provare a dominare l'inconscio....

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  4. è uno "spostamento di visuale" interessante, sì.
    Grazie del passaggio e del commento.

    anna

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  5. Bellissimo testo. Mi piace questa ricerca di significati che parte dagli "indizi non valutati", dai "lapsus", dai "dettagli marginali" che spezzano il "filo" del discorso ordinario. Forse il testo scivola in un eccesso di didascalismo (a me è venuto in mente "Reperti" di M. Gezzi), ma resta godibilissimo per l'equilibrio formale che riesce a raggiungere ed alcune immagini (i tombini, che sembrano spalancare un mondo ignoto, sotterraneo, oppure il rumore della freccia nel dormiveglia in auto). Nel finale il verso poi si spezza e il ritmo subisce un'accelerazione fino alla chiusa.
    Complimenti pure ad Anna per l'introduzione.

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  6. Grazie a tutti per il passaggio e le osservazioni. Soprattutto ringrazio Anna per la lettura ed il tentativo - riuscito pienamente - di tracciare il mio "percorso".
    Una sola nota sulle parole di Marco Aragno. Innanzitutto ti ringrazio per gli apprezzamenti. Non capisco cosa intendi per "didascalismo". Non intendo bene se la tua è una nozione di stile o tematico. Dal punto di vista stilistico-tematico - così risolviamo ogni problema - la tendenza alla "didascalia" o ad una poesia per così dire "didascalica" in effetti è proprio quella che sto cercando. Solo però se intendiamo una distribuzione all'interno della composizione in versi di "exempla probanti". È chiaramente una volontà di darsi una tesi e di provarla. L'accumulo degli exempla però, per quanto forte e, come hai notato tu, caratteristica, lascia sempre qualche margine ai salti ed a quello che mi interessa particolarmente nella raccolta che sto provando a scrivere in questi anni: la divagazione. Dunque immagina una tesi e una serie di "argomentazioni": la scommessa è argomentare provando ad attingere dai campi semantici e del reale più distanti e in disaccordo tra loro. Il motivo di questo esperimento non è però la sorpresa in sé o la meraviglia - per intenderci, quello che è stato fortemente teorizzato nel nostro Marinismo, e poi nel '900 con le poetiche del "barocco" - ma fare stridere i contenuti, mostrando i vuoti: non cercare armonie tra i campi afferenti ad aree diverse, ma farli appunto entrare in conflitto per mostrare i vuoti cognitivi caratteristici di ogni scrittura - e non solo - argomentativa o finto-assertiva.
    Ringrazio di nuovo tutti per il passaggio, e in anteprima ringrazio per la lettura di questo mio "monologo".
    a rileggerci

    Luciano Mazziotta

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  7. Caro Luciano, ti ringrazio per il chiarimento. Sì, la tendenza alla "didascalia" era da intendersi sul piano tematico. Mi scuso se il termine "didascalismo" sia stato piazzato un po' inopportunamente (non voleva essere usato in un'accezione spregiativa).
    I cortocircuiti fra campi semantici o del reale diversi di cui parli sono in effetti la cifra più originale di questo testo. Lo sono soprattutto quando la riflessione in versi viene assorbita da un'immagine repentina (come la freccia dell'auto di cui scrivevo sopra o il tombino). Sarò curioso di capire come evolve questo processo di "spiazzamento" semantico nel resto della tua raccolta; se, insomma, la divagazione di cui parli porti o meno ad un possibile approdo di senso. La chiusa di questo testo, dove orgogliosamente l'io lirico compare e rivendica il suo ruolo di scrittura, lascerebbe presagire di sì.

    Marco Aragno

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