sabato 2 luglio 2011

Michele Porsia - da “Bianchi girari”





Senza temere la parola e già a partire dal titolo centrato e particolarissimo di questa silloge inedita – titolo-chiave -, Porsia costruisce una piccola bibbia che trascrive con l’amore e la dedizione di un amanuense. Disegna ad uno ad uno i suoi Bianchi girari (in "Voci della luna 48", Ottobre 2010), fantastiche bordure di una scrittura arrivata a noi splendente e intatta.

Lontana, nonostante il richiamo umanistico, dall’apparire “già sentita” o “antica”, la scrittura di Michele Porsia rivà fino alle origini, traccia quasi un’antropologia dell’archeologo indefesso, costante, piegato sul suo lavoro. Egli scava per cercare le ossa, i corpi stretti calcificati tra loro e, dietro questi, cerca ben oltre e intende trovare il “primum” della parola, il suo inizio (“il diario dello scavo / poema nella stratigrafia delle parole”). Il lavoro di Porsia procede per sottrazione, eliminazione di strati e sovrastrutture. E’, certamente, una ricerca costante, un “riportare alla luce” ma anche un lavoro di catalogazione, registrazione e racconto. Dall’inizio – da capo – tutto riparte primo, puro, non toccato (Ma forse / non aveva ancora nome l’amore / e la morte) così come la prima lettera di un manoscritto, l’incipit fregiato, un grande inizio che attiri. Sembra si sfiori l’impasse: è parola-pietra liscia e nuda che scintilla appena riemersa dall’acqua e, insieme, bianco girare nient’affatto spoglio e modesto? Non deve spaventare il contrasto, dall’impasse si esce pensando che Porsia probabilmente conosce il peso di una poesia che si innalza dal colloquialismo quotidiano e fa un salto all’indietro – ma così, forse, proprio più in alto e dunque liberatorio -, una poesia preziosa che costa impegno e precisione, dorature, crescenza e perizia, senza che questo appesantisca il senso e l’operazione, anzi, facendo solo intravedere l’intenzione. La storia umana del poeta – visibile a tratti e quindi mai troppo centrale nel discorso – e la storia di tutti mancano qualche processo troppo lontano, troppo pulviscolare, non vogliono sentire ragioni: partono dal detto, dal pronunciato, pure se questo dovesse significare cominciare il “lavoro dell’appartenenza”, la ricerca degli antenati da poche sillabe, da una lallazione incerta.
Porsia a volte scava con l’acribia del tecnico, a volte trivella con più forza e lo confessa attraverso alcune figure e correlativi che funzionano bene. Ma il poeta, in realtà, non scava che la parola, perdendola anche (e per fortuna) ogni tanto, da una bic (“è stato come perdere una biro. / Svanita nella mano: /era una bic. Per strada in bicicletta”) o in frammenti di testo. Perché la costruzione è lunga, il lavoro arduo, il tempo quasi un nemico.

anna ruotolo

*** 


verba volant
non è un filo. La parola è pensiero in polvere, il residuo grigio di una
materia cerebrale.
Celebra la cenere, la terra. Arretra, se temi la parola, ma poni prima un
fermacarte sulla fossa, che indichi il pericolo di questo luogo.
O il vento, senza neppure chiedertelo, prenderà la scrittura e la porterà
sulla tua bocca.
Mettici una pietra sopra. Tu temi la parola perché vola.
Tu temi la parola perché vuole



a C.

I. li hanno ritrovati sottoterra
in una pagina di argilla,
in un abbraccio
così lungo da consumare il corpo.
Dalla pelle alla carne
le carezze
allentate fino alle ossa intrecciate tra le gambe.
Ischio e coccige
mischiati a qualche selce,
il femore e la tibia
incrociati (per essere vicini)
li hanno ritrovati nudi, primitivi,
in fragili frantumi nella nebbia.
Nella pianura di Valdaro
la saliva è divenuta polvere,
il diario dello scavo
poema nella stratigrafia delle parole
un verso dopo l’altro verso l’origine del mondo




II. la caligine, e i teschi
sono apparsi in una forma cardiaca
sulle spine
dorsali, scarne trame quotidiane
disegnate nei quadrati
un metro per un metro. Un abbraccio
di vetro esumato per divenire
friabile incrocio
di omero e di ulna -che non venga in questo luogo
chi non è mai riuscito
ad annodarsi dall’interno con un altroil
canto segue
Jorge Enrique Adoum, un’ombra
che attraversa la pagina per un istante solo.
Si ricompone il tempo,
una pangea
che sovrappone a Sumpa
la periferia di Mantova.
L’archeologia del sentimento è stata un unico cantiere
in cui venne la parola nera a chiederci,
a trovarci per tradire il silenzio
per rimanere nascosti in un doppio incavo di terra



III. sapremo dalle analisi di laboratorio i loro sessi
il colore dei capelli,
gli occhi,
faranno maschere di cera
per imitare i tratti
eppure il codice genetico, la radice di un dente
non potrà restituirci la parola. Niente.
Ma forse
non aveva ancora nome l’amore
e la morte
faceva parte della vita, che veniva dissepolta, la voce
di un pazzo che grida:
- io con la morte ci faccio l’amore -                                                            
 l’amore con la morte in allitterazione



ma il corpo perdura nella sua scomposizione.
La federa non ha tenuto l’odore del respiro
(è bastato un cambio d’aria, un risveglio)
le mani o le foglie di nelumbo
sono sul torace che inizia a putrefare.
La parola è persa
di nuovo nella casa
perché non basta il culto del defunto.
Ti starei accanto fingendo di dormire
nonostante il giorno



è stato come perdere una biro.
Svanita nella mano:
era una bic. Per strada in bicicletta
mi volto indietro, per cercarla.
Niente euridice. Neppure l’ombra. Bramo.
Un’ora di ritardo, si fa buio;
non è neanche a casa ad aspettarmi;
rovisto tra le stoviglie. Veglio
(nel frattempo giro
nell’isola di una parentesi curva
del tempo dilatato del dolore. Frantumato)

.
 
Michele Porsia è nato a Termoli il sei maggio 1982. Vive a Firenze.
Selezionato da Andrea Sirotti e da Vittorio Biagini per Nodo Sottile 5, ha preso parte dal 27 al 30 Settembre del 2007 a un laboratorio a cura di Antonella Anedda e Gianmario Villalta. Nel 2008 è stata pubblicata Nodo sottile 5 un’antologia edita da Le Lettere con alcuni suoi testi. Nel 2009 ha vinto il premio Cose a parole indetto da Giulio Perrone editore che ha pubblicato Sintomi di Alofilia nella collana Lab. Nello stesso anno ha partecipato al Parma poesia Festival e alla Biennale di Skopje dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Tra il 15 e il 19 febbraio 2010 alcuni suoi testi sono stati trasmessi durante il programma Fharenheit di Radio Rai 3. È stato finalista di Subway 2010 ed è perciò presente nell’antologia del premio distribuita in metropolitana. È stato segnalato al premio Lorenzo Montano 2010 con la raccolta inedita Bianchi Girari e una selezione di testi tratti da questa è arrivata terza al premio Renato Giorgi 2010. È presente su Absolutepoetry con alcune sue poesie, una registrazione audio.
Si occupa inoltre di architettura e di arti figurative, fa parte di Hanife Ana Teatro Jazz con cui ha collaborato nella realizzazione di alcuni video.
 
(articolo già pubblicato in Giovin/astri di Kolibris)

4 commenti:

  1. scrittura affascinante per certi versi. particolare direi.

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  2. concordo. Nella poesia di Michele c'è una bella tradizione che lui rinnova in una lingua ed in una costruzione restituita a noi potente ed efficace.
    Grazie del passaggio, Anila.

    Un saluto,
    anna

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  3. Michele è un bravissimo poeta. Hai ragione.
    Grazie del passaggio.

    anna

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