martedì 9 agosto 2011

"Gioele e Martina", un poemetto di Giuseppe Vetromile



Gioele e Martina



Canto primo

Gira il vento un’altra pagina del giorno
anche da queste parti è l’imbrunire
la terra è tutta scura e stanca o Signore
ecco è l’ora di pregare in un ultimo
millimetro d’angolo di luce prima del
disfarsi del sole dietro i Camaldoli
con te Martina pregherò attendimi
al crocicchio stasera alle otto dopo
essermi diluito lungo il tramonto
appiattito a ridosso dei muriccioli
sgretolati del quartiere nessuno
mia cara potrà avvertire la mia
ala silenziosa sorvolare il respiro
trasparente del cielo stellato
Per me Martina sarà bello il solito
tuo spuntare dall’amalgama di folla
ribollente dietro l’ansimare del freddo
avventuroso vagone tranviario giù
alla fermata obbligatoria della
Stazione Centrale il nostro arcano
appuntamento al bivio del giorno
trascolorato in un impeto di
sragionato immenso amore

Per raccontarti tutto questo azzurro
ho ascoltato molte volte l’allodola
rinchiusa nel suo volo sopra i grigi
prati della fabbrica d’automi laggiù
in fondo all’allegria gratuita e non
poteva più uscirne libera che a sera
insieme a me e a mille altri fuggitivi
oltre gli schemi dei cancelli automatici
ho sopportato a lungo montagne di delitti
da ore immemorabili vedevo il cielo
e il sole morire dentro le inutili
stagioni del cuore imprigionato
Mi dissero pure che altro vuoi Gioele
da questa diritta vita di cemento
e di blandizie surrogate ? Il Giardino
delle Esperidi non è certo dietro l’angolo
accontèntati dunque di questo breve
viaggio giornaliero senza meraviglie
e senza caso dall’oggi al domani
senza incertezze io credo allora
che la polvere dei giorni stia piovendo
sul nostro inamovibile cuore ormai
inevitabilmente



Canto secondo

Nelle mani l’anima della città sfiorita ogni
passo una memoria di ciclici motori il
cigolio del tram nella stretta curva di
Piazza Vittoria questa frenesia di volare
sui bassi parapetti verso il mare ora
è tutta chiara la chimera in quest’angoscia
che ci sorprende sul margine di nafta
della scogliera appuntita ferma
da secoli a fermare l’impeto dell’onda
che lambisce grigia limatura probabilmente
la luna s’è spenta più volte tra
questi segreti anfratti putrescenti
regalando nastri d’argento ai pesci
in amore silenzioso noi non vediamo
ormai che i riflessi guizzanti di quel
lontano estraneo mondo sommerso
Ritrovarti quindi sul breve porticciolo
fitto di bitte è stato un refrain inaspettato
alla fine d’un tramonto colorato di mille
fiori profumati e lontano da questa
eterea spiaggia ho deposto per te
Martina la mia quotidiana attrezzatura
limato le unghie del lavoro staccato il
marcatempo aziendale aperto a caso
il mio taccuino da poeta ed ora spira
il mio canto dove più profondo è
lo sguardo dei tuoi occhi di smeraldo
nella fioca spenta luce dei lampioni
ritrovo l’allegria dei tuoi sorrisi il diletto
d’una età perduta oltre il diaframma
dei rispettosi canoni del quieto vivere

Mormora piccole storie la conchiglia
sul canto gaudente di risacca giù
alla marina il tempo breve d’un tuffo
nelle acque smeraldine l’impronta d’un
fiore di madreperla sul bagnasciuga
una reliquia da portarsi al collo
quanto più vicino al petto una corona
d’alghe profumate di salsedine una
stella marina unica fenice del
nostro isolato atomo di mondo
solitaria perla in uno scrigno d’osso
colmo d’amarezze e di rimpianto
Volava così l’airone sul lago oscuro
dei sogni cercando possibili approdi
su un letto acuto di canne barbare
appena un dolce stretto isolotto
di spugne senza lacrime né dolori
imbevute solo di eterna melassa
e noi lì a incutere timore ai rospi
dell’intricato canneto altro non so
mia cara se la morte a pelo d’acqua
privasse i loro corpi delle ali
per innalzarsi verso il più profondo
degli azzurri



Canto terzo

Gronda umide attese il pianerottolo
al terzo piano nei tramonti innumerevoli
nessuna stagione muta accanto ai fornelli
ghirigori di mille sapori umori e suoni
misti dal fondo delle quattro stanze evocano
pieghe di sicure felicità oltre il confine delle
favole scopro un abbandono atroce tutte
le volte che manchi dall’angolo sghimbescio
tra il tavolo e la tivvù assaporando
l’amarezza d’una solitaria regina tuttofare
imbrigliata in meccaniche faccende ma
io ti so Gioele nei meandri azzimi
a risolvere le formule del giorno con
l’atrio grezzo del tuo cuore mentre
con l’altro mai argini la dolce voce
di Erato sul bordo silenzioso della
tua vespertina scrivania quantunque
dicano bene tutti gli altri condomini
caro Gioele che vuoi che sia una
poesia al totale della sera vedi
mancano molti addendi non potrai
mai elencarli come le stelle nell’abisso
misterioso o come Dio nell’intercapedine
delle infinite parole ideate giusto a
presentarlo noi abbiamo solo te
e me all’ora della cena e forse
un’altra luna il sabato sera nella
penombra della radio potrà regalarci
un sogno alla deriva abbracciati insieme
su una zattera d’amore rilegato trascorrerà
la notte senza nome o mio Gioele eppure
così unica non ripeterà mai più
gli stessi baci

Un sogno benedetto amore mio e
così sia indovinando il tuo ritorno
ogni sera frequente e puntuale dai
deliri quotidiani io so che tu saltelli
in un silenzio di colori sulle ventimila
mattonelle ben squadrate della fabbrica
locale dove muta la materia e si fa
mobile ma s’arresta l’anima e il cielo
dietro uno scaffale eppure io Gioele
non ho una poesia che guarisca
ed asciughi le mie mani dal bucato
vesuviano non ho un minimo di verso
che liberi il cuore dal buio dei rottami
e dei rifiuti variopinti in questa casa
circoscritta da mille regole vitali
non ho che i quattro conti della spesa
e il caffè da preparare tra una
novella e l’altra alla tivvù le rughe
distendendo in un disciplinato
rabbioso pianto di pace


Canto quarto

In una catena di giorni uguali
tutto è rovina di clangori e alto
rumore di fondo né luce né tepore
lungo la via del Santuario fino
all’ossidato centro cittadino dove
è fumo denso la fretta dei passi
trema la terra sotto il peso del
gonfiore di cemento e cartastraccia
l’immondizia è fiore deturpato
mostra la sua corolla d’olio unto
ai tristi treni scivolanti sul
selciato blasfemo nitriscono solo
vecchi neri destrieri ansimanti
invadono la cala ottocentesca
monelli batraci di periferia ed io
dal Vomero su frammenti di traffico
precipito lento goccia di sabbia
nella clessidra del basso abitato
o mia dolce Martina è questa
la strofa che canto a voce alta
dietro i dirupi del cuore e nutro
la mia carne verosimilmente
di queste vettovaglie altrimenti
morirei nascosto dalla luna
sotto gli scogli

Non dire una parola già grassa di
retorica ne è piena l’aria della
bocca senza cuore guardami dentro
la pelle e ascolta i passeri sopra
il davanzale zincato del tramonto
quando si espandono i pastelli
della sera nel cielo che attende il
riposo del bagliore appiccicoso
osserva o mia dolce casalinga come
tornano i colombi alle grondaie
noncuranti delle navi per i vasti
oceani di scorie alla deriva
vortico anch’io e tu lo vedi tra
mille onde nei cieli favolosi di
splendore denutrito e mai approdo
ad un’isola diversa dalla mia
scrivania tentando di cucire
tasche di versi agli abiti del
pensiero riponendovi qua e là
notizie vaghe sul nostro
programma esistenziale
Perciò non credere che io finga
preghiere quando piango nei
sogni non è lacrima malata ma
dolore di atomi centrifugati dal
nocciolo del dubbio che altro sia
questo giaciglio tenero d’attesa
verso il solito ufficio del mattino
o mia compagna vesuviana non so
eppure esattamente ogni risveglio
s’insinua una lamina di sole
sopra l’oscuro comodino


Canto quinto

Sui paesi vesuviani sbadiglia l’ora del
risveglio non è come a Sofia o nel
Queensland dall’altra parte del
possibile anche se l’intrico di sole
tra le persiane semiabbassate
può essere lo stesso qui la vita
è di Gioele che si gioca per le strade
entro l’orlo della circoscrizione
tuttavia s’annuncia bene la giornata
dopo il lento consumarsi della luna
nella traiettoria dei sogni inventariati
nell’agenda prima delle croci
nonostante tutto è ancora fresca
la rosa sul balcone e peduncola
il misero ragnetto lungo l’architrave
da ieri non ha concluso ancora
la sua rete né reliquie di rugiada
resistono nei pochi rossi calici
giù nell’erba misteriosa un randagio
annusa speranzoso tra le piante
ignote mai curate

Chi vivrà vedrà Martina mia nell’estate
sarà nostra la feriale avventura verso
i lidi occasionali se anche quest’anno
sarà vuoto l’alambicco che ne diresti
dei soliti passeggi lungo i viali vesuviani ?

Piccolo e breve è il nostro potere d’acquisto
in questa piazza d’affari sgargianti
e il clangore delle monete risuona
smorto nei nostri sogni sempre
vaporosa è la festa della domenica
in un canto di clacson e di campane
verso il porto dei miracoli promessi
nell’odore di frittelle trovi a volte
l’incenso della Messa confusa dal
suono degli organi e dei pulpiti nel
palpito impaziente si consuma la
mezza mattinata e poi langue il
dopopranzo su un primo assaggio
di un’altra sera fallita che ne diresti
di una gita a mezzanotte ? A Mergellina
lungo il molo dove t’incontrai nel
primo amore ora suonano i marosi
e il parapetto odora di lerciume e di
taralli e noi forti caparbi dalle vetrine
del mare sotto le stelle estrapoliamo
l’antica storia della nobile Sirena

In ogni caso è questa la discesa altro
non potevamo essere che semplice
poesia in questo bagno di materia
sarà meglio soffrire le mille partenze
per l’ufficio l’infinita gloria dei piccoli
limoni spremuti sul bollito o il gusto
d’un caffè al bar del Santuario prima
che il cuore urli il suo grande no
definitivo ai raggi dell’ultima luna
sopra il serale comodino





Giuseppe Vetromile, nato a Napoli nel 1949, vive ed opera a Sant’Anastasia, nei pressi del famoso Santuario di Madonna dell'Arco, promuovendo e organizzando eventi ed incontri letterari con il suo “Circolo Letterario Anastasiano”. Poeta e scrittore, ha pubblicato numerosi testi di poesia con importanti Editori come Bastogi, Scuderi, Ripostes, Samperi, e, con l'Editore Kairos di Napoli, una recente raccolta di racconti, intitolata "Il signor Attilio Cindramo e altri perdenti". Ha vinto numerosi premi in concorsi letterari nazionali di rilievo, sia per la poesia che per la narrativa, ai quali partecipa tuttora ottenendo sempre lusinghiere affermazioni. Partecipa attivamente ad incontri e convegni sulla poesia. E’ membro di giuria in alcuni concorsi di rilevanza nazionale. E’ inserito in numerose antologie ed è inoltre citato in importanti pubblicazioni e saggi critici. Dirige la Collana di poesie "Il retroverso" per conto delle Edizioni del Calatino di Giuseppe Samperi di Castel di Judica. Ha curato l'Antologia "Attraverso la città" per conto della Casa Editrice Giovanna Scuderi di Avellino. Ospita importanti testi poetici e relativi commenti sul suo blog "Transiti Poetici". Suoi articoli, note critiche e varie recensioni, sono apparsi su diverse riviste letterarie nazionali e sulla stampa on-line.



3 commenti:

  1. Giuseppe Vetromile è un poeta che, in tutta la sua produzione, dà voce al quotidiano, alla fabbrica, al grigio di anonime e automatiche vite, alle periferie di città già di per sé estranee, se non ostili, a un essere umano sempre più problematico ed incerto, specialmente di fronte a una società biecamente ( e beceramente) crassa materialista. Ma Vetromile, che si muove all'interno di queste tematiche con assoluta naturalezza, riscatta e strappa all'anonimato persone e cose, collocandole in una dimensione letteraria, ma non per questo meno vera. Questo processo, che banalmente viene detto poetico, rivela tutta intera la bravura e la potenzialità artistica di Vetromile, capace di servirsi di ogni elemento in suo possesso (ivi compresi i "ferri del mestiere")per rendere appetibile la sua produzione; la quale si connota per l'estrema e variegata verbalità, ma soprattutto per l'intensità affabulatoria e la fitta rete di richiami e di corrispondenze che fissano in un unicum estremamente compatto ogni prodotto artistico di questo eccellente autore.
    Pasquale Balestriere

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  2. grazie per questo prezioso commento, Pasquale.
    Sei il benvenuto.

    Un caro saluto,
    Anna R.

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  3. "anche se Gioele non ha una poesia che guarisca ed asciughi le mie mani dal bucato Vesuviano"...
    bellissimo...oltre alla sua sensibilità poetica che incide nel "reale" la ricerca di un quotidiano sublime tra se e l'altro, Giuseppe Vetromile, dopo che "ha spremuto i limoni sul bollito", sa dire il suo "no-si definitivo" con una grande onestà intelletuale che appartiene solo ai veri poeti.
    anila hanxhari

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