lunedì 11 luglio 2011

"rapida e serena l'anima ringrazia", due poesie di Michela Zanarella






da: "Sensualità - Poesie d'amore d'amare" (Sangel edizioni, 2011)


L'anima ringrazia

C'è un amore in me
necessario come una madre,
necessario come un silenzio
che calma le statue, i luoghi,
i sensi.
Dolce tra le fiamme
un sorriso si fa palazzo
sulla spiaggia di un istante.
Di fronte ad una luce maschile
calda
sdraio la sete di un bacio.
Mi sento tra la grandezza
ed altro mare,
ora e vita - musica verde -
sullo stare a cuore spalancato.
E da una parte all'altra
di un cortile di ciglia,
rapida e serena l'anima ringrazia.



Chi ama

Lontana da te non esisto.
Il saperti sul mio seno
in un angolo a stendere il tuo azzurro,
è necessario come un susseguirsi
di stagioni.
Non so, ma la vita è misera
come un secco ruscello d'agosto,
senza il tuo fiato accanto.
Chi ama è ricco in tutto il corpo.
E al suono d' acqua non vuole altro.





Michela Zanarella (1980) è nata a Cittadella, Padova.
Inizia a scrivere poesie nel 2004. Ha pubblicato i libri di versi “Credo” (ass. culturale MeEdusa), “Risvegli” (ed. Nuovi Poeti), "vita, infinito, paradisi" (ed. Stravagario, 2009), “SENSUALITÀ, poesie d’amore d’amare” (ed. Sangel, 2011) e la raccolta di racconti “Convivendo con le nuvole” (GDS, 2009). La sua poesia è tradotta in inglese, francese, spagnolo, arabo. Partecipa attivamente alla diffusione della poesia.
È stata ospite della trasmissione radiofonica condotta da Rosanna Perozzo su Radio Cooperativa di Padova. Ha partecipato alla trasmissione televisiva "Poeti e Poesia" di Elio Pecora su Televita, a Roma.
Alcuni articoli sulla sua scrittura sono stati pubblicati in quotidiani (il Mattino di Padova, il Gazzettino di Padova, il Padova, la voce dei Berici) in settimanali (Periodico Italiano) in rivista (Orizzonti, distribuito dalla Feltrinelli) e sull’on-web. È socia onoraria dell’associazione u.i.s.p. “Infiniti Sogni”. Ha ottenuto il terzo posto nella categoria “poesia edita” al premio "Memorial Gennaro Sparagna 2009". È seconda classificata al premio "Donne...sulle tracce di Eva”, finalista al You Artist Festival 2011 di Roma e tra i vincitori del Premio Internazionale Progetto Sud 2033 a Palermo. È prima classificata al Premio “pubblica con noi 2011” di Fara Edizioni. Quattro sue poesie sono pubblicate nel sito ufficiale di Pier Paolo Pasolini e nel sito ufficiale di Alda Merini. Sta scrivendo il suo primo romanzo. E' la responsabile dei siti www.apostrofando.it, www.screensoda.it, www.iltrovaevento.it.

sabato 9 luglio 2011

Elia Malagò - "Incauta Solitudine"

"Poesia" (Crocetti), Luglio/Agosto 2011, num. 262

In Lo scaffale di Poesia una mia recensione al libro di Elia Malagò: "Incauta solitudine", Passigli, Firenze 2010, pp.112, euro 14,00



martedì 5 luglio 2011

Laura Accerboni - "Attorno a ciò che non è stato"

Laura Accerboni, Attorno a ciò che non è stato Venezia, Edizioni del Leone, 2010, pagg. 48, € 6,50


Einmal ist Keinmal ovvero una cosa che accade una sola volta è come se non fosse mai accaduta: così sembra suggerire Attorno a ciò che non è stato (Venezia, Edizioni del Leone, 2010), il libro d’esordio della genovese Laura Accerboni, classe 1985.
Non mi sembra di citare a sproposito Milan Kundera e la teoria dell’insostenibilità della vita che procede in linea retta, laddove la felicità sembra provenire soltanto da una ripetizione continua e “pesante” e prevedibile degli eventi.
Pensate ad una consapevolezza di quella linea retta e alla ripetizione precisa di fatti, esistenze e dati corporei, senza che tutto ciò si traduca in quella felicità succitata: è il lavoro dell’Accerboni e il miracolo di una poesia che dice il non detto, ricrea il non creato e ragiona sul non accaduto mantenendosi sempre fedele a sé stessa, lontana da falsi moralismi, scevra di consigli e soluzioni.
Com’è possibile? Così è perché Laura cammina la poesia da una vita – la sua – col coraggio e una lingua libera di dire, senza risparmiarsi e senza lasciarsi dietro e attorno scappatoie di sorta o porte segrete nelle quali cercare la fuga quando il gioco – o il confronto – si fa duro.
La costruzione di ciò che non è [stato], è possibile in poesia mettendo a fuoco le questioni, tentando fino all’inverosimile. L’Accerboni parla per sé e per gli altri scendendo “come si può / in ruoli non certi” (p.9), mettendo sì una rete a protezione perché dotata di un’intelligenza severa che le fa considerare il fallimento ma – di fatto – con la consapevolezza di dover dire, doverlo al mondo, apportare il proprio contributo di fruitore della parola, di poeta. In termini positivi, Laura lavora con abnegazione e sa che difficilmente i suoi concetti possono fallire, perché ci mette spalle al muro e sotto gli occhi le cose che non facciamo, rimandiamo e dunque perdiamo per sempre.
E così pone in essere il suo intervento vestendosi come la gente, tipi riconoscibili, esemplari-campioni dell’umanità. Prende i panni di moglie e marito, uomo e donna, vivo e morto svelando – anche – le regole del gioco (“a mia moglie / il bianco lucido / della casa” p.10; “io sto / come sospeso / io sono / vestito di tutto” p.20; “Sono / la segretaria / che non registra, / la cameriera / che ti riempie le ore / di niente. / Sono la badante / che disprezzi / e non occorre, / sono il pronto soccorso / di tutti i sani / e l’attesa / di tutti i santi. / Sono / la donna delle pulizie / che ti ruba lo sporco, / sono la cassiera / che ti fa credito / solo se non compri, / sono il rifugio / di tutte le case / e la consolazione / delle migliori acquirenti.” p.21). Elio Grasso, in prefazione, parla di un “sovvertimento” del poeta e forse il fuoco del discorso di Attorno a ciò che non è stato è tutto lì, nell’atto di eversione che segue dal lavoro di premessa fatto da Laura. Ci sono corpi e fossi e nomi e volti tutti ricorrenti e tutti indispensabili: sono la premessa. E poi c’è il centro, il nocciolo duro: dirsi inesistente e così darsi vita da sé stessa, generarsi con potenza, guardare in faccia la vita, non aver paura della morte perché siamo “già vivi in vita” (p. 37).
“Dovevamo stare più attenti” (p.13) a far sì che tutto accadesse, che tutto assomigliasse a ciò che sarebbe stato. Qualcosa non è avvenuto per disattenzione ma questo, tutto questo, è premessa. Laura ha in sé, invece, il germe della possibilità, la libertà delle forme, la natura della decisione e del compimento. In effetti sembra che si stia “aspettando / il giorno a venire” (p.42) facendo pulizia ben bene delle ombre, simulacri, immaginazioni (“non dovrà rimanere / troppo a lungo / ciò che mai è stato” p.42). Siamo tutti sospesi a un tacito evento, scriveva Sereni, e forse l’evento di Laura Accerboni è occupare e rivendicare un posto in mezzo alla “plastica di corpi” (p.14), la “parola d’altri” (p.22) proponendosi di costruire da capo e con la parola poetica ciò che non è ancora stato perché “È una vita / che il mattino / si sorprende / di prenderci / sempre / alle spalle” (p.26).

anna ruotolo


***
Si sale come per caso
sospesi e credibili
in tutte le parti.
O forse
si scende
come si può
in ruoli non certi.
O ancora
semplicemente
si rimane
in attesa
di migliori spiegazioni.



Sono finite
le gocce
e i calmanti,
finite le analisi del cranio
e la misura del ventre.
Dovevamo stare più attenti
coprire il volto
fino al mento
che fuori fa freddo
e coprire,
coprire tutta la stanza
e tenerci in movimento.



Senza treni
ad aspettarmi,
mi dico
che questa gente
è solo riflesso
dell’orario stabilito.
Sarà perché non ho nulla
di cui lamentarmi,
nulla,
neanche di questo vuoto
che a fatica
si ingoia
e mi rigetta
intera e senza aspetto.



Sono
la segretaria
che non registra,
la cameriera
che ti riempie le ore
di niente.
Sono la badante
che disprezzi
e non occorre,
sono il pronto soccorso
di tutti i sani
e l’attesa
di tutti i santi.
Sono
la donna delle pulizie
che ti ruba lo sporco,
sono la cassiera
che ti fa credito
solo se non compri,
sono il rifugio
di tutte le case
e la consolazione
delle migliori acquirenti.



In questa stanza
di mani rigide
pronte alla stretta
so che non sarà
il mio volto
a esser scelto:
è il calcolo programmato dei nomi
la distinzione netta
tra chi può sedere sicuro
e chi dovrà alzarsi
prima del tempo.



Lo avevano detto
che non si vive
per sempre,
ci avevano avvertiti
nell’unico linguaggio
che cura la vita.
Non possiamo appellarci
a niente,
neanche al veleno
che si ingurgita
di giorno
per addormentare
i bambini.
O forse
malati di altra malattia
potremmo chiedere
un rinvio,
un prestito,
per abituarci all’idea
che di morte non si muore
se non in vita.



Sono nubi scure
a fermarsi
davanti al volto
così mi preparo
a piovere
e batto
batto sul tavolo
di casa
e tutto intorno.


Dalla prefazione di Elio Grasso:[...] A capofitto nel motivo conduttore dei corpi, perfino dentro il loro rovescio, Laura esercita i livelli della sua percezione, precisandone in ogni pagina precipizi, anomalie e ogni specie di antiche battaglie. E’ soprattutto il desiderio di entrare e muoversi dentro il riflesso del mondo (quello che ci fa sentire soli in una stazione prima dell’arrivo di un treno qualsiasi) a orientare tutta questa poesia, facendone questione d’esperienza primaria. E nel riflesso del mondo appaiono ancora più vere le misure degli uomini e delle donne, con i loro ventri e le loro passioni, i loro figli e ogni cosa sintonizzata con la meditazione di Laura: ora cordiale, ora perentoria come se non esistesse alternativa ai ruoli che ci rivela. [...]




Laura Accerboni è nata il 7/5/1985 a Genova, si è diplomata nel 2003 presso il Liceo Ginnasio Statale Andrea D’Oria di Genova. E’ iscritta a Lettere Moderne all’Università di Genova. Sue poesie sono state pubblicate su diverse riviste tra le quali Italian Poetry Rewiew, Poesia Crocetti Editore, sullo Specchio della Stampa. Ha conseguito diversi premi letterari tra i quali: Lerici Pea giovani 1996; Premio Letterario Internazionale Maestrale San Marco 1999, 1° premio sezione giovani; Premio Letterario Nazionale il Molinello 2000, 1° premio per le scuole superiori; Premio Internazionale di Poesia Città di Monza 2000, 1° premio sezione giovani; Città di Castello Artea Premio Nazionale 2002/2003, 1° premio poesia sezione scuole; Concorso Letterario Internazionale “Città di Ancona” 2004, 1° premio Sezione studenti; Concorso Gemine Muse 2005 Cremona 1° classificata sezione poesia; Concorso CercaTalenti 2006 Genova, 1° classificata sezione poesia; Concorso Nazionale organizzato dalla Provincia di Pisa“Giovani TalentiCercasi” 2009 1°premio Sezione Poesia. Dal 2006 collabora alla manifestazione “Percorsi Poetici” inserita nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia di Genova.

Articolo già pubblicato in "Giovin/astri di Kolibris"

lunedì 4 luglio 2011

"Ora ti trovo discosto oltremare...", tre poesie di Federica Volpe






*
Avrei voluto esserti donna tutt'attorno
a sentire il rovistare tra i segreti di soffitta. 
Ma tu mi chiedi di esserti al fianco 
-come una spina- stretta di silenzio.
Chissà se lo conosci il dolore che fanno 
le polveri sulle cose smesse a sbigottire.




*
Ho bisogno del tempo del viaggio per tornare
a concepirti mano che scruta e che non teme. 
Vedi, ho contato le tue vertebre come fossero perle
di rosario. Ora ti varco le porte degli occhi 
e mi faccio pietra come tra pietre cimiteriali. 
Ogni tua costola è una croce d’abbraccio
che gelido ha scaldato il brodo del sangue
che ancora smuovo per questa docile pietà 
che mi riporto come un cane fa coi legni. 
Vedi, ho risalito i tuoi tendini boschivi in cerca
della fuga. Ora ti trovo discosto oltremare 
e mi faccio isola come tra isole fluviali. 
Ho bisogno del tempo del viaggio per tornare
a concepirmi mano che scruta e che non teme.




*
Ti sento dentro a crescere i miei inverni, 
a tramutare il porto in ossidiana. I pesci
non neccesitano di pinne dell'andare
-pinna è solo ancora che cura, che rimane 
ma non muore, come pozzo di premure-. 
Tu sei l'inverno, il porto, il pesce, il pozzo, 
tu sei l'ancora che porta senso
al deserto d'onde del mio stare.
 .


Federica Volpe vive a Carate Brianza, grembo da cui è nata e da cui tenta la rinascita quasi ogni giorno. Vi giace come cosa senza peso, cullata dai respiri delle esistenze silenziose  che le parlano. Questi dialoghi senza nome li chiama "poesia". 
Ha pubblicato LEMBI (Onirica Edizioni, 2010) ed è presente nella antologia QUATTRO GIOVIN/ASTRI (Kolibris Edizioni, 2010), oltre che in una serie di altre antologie. 
Di ogni cosa che ha scritto sente l'insoddisfazione che sgorga dalla non corrispondenza del canto che solo sa ascoltare e non riprodurre, e non ridare. 
Ha creato con Barbara Bracci il sito VIR-US (http://www.vir-uspoesia.beepworld.it/), collabora ai blog I GIOVIN/ASTRI DI KOLIBRIS (http://giovinastridikolibris.wordpress.com/) e FARAPOESIA (http://farapoesia.blogspot.com/). Ha un blog personale destinato alla diffusione della poesia altrui (http://federicavolpe-poetry.blogspot.com/) e un sito personale (http://federicavolpe.beepworld.it/).

sabato 2 luglio 2011

"a(t)tenersi", una poesia di Francesca Coppola






a(t)tenersi

è tradurre amore
con il senso di una bottiglia
piena di tappi, dal collo
così lungo

come a dirsi tante cose
e poi non sapere nulla
quando mi interroghi
snocciolandomi le dita

dispersa in chilometri
mi raccogli con la gola
di chi sa aspettare

è proprio allora
che sto lì, lì per confessare
mi tengo_mi tieni
racchiusa in 194 centimetri
di te





Francesca Coppola, classe 1982, napoletana di Portici, si laurea in “Cultura & amministrazione dei beni culturali”. Da sempre interessata alla scrittura, agli effetti benefici che ne conseguono, alle possibilità di esternare e condividere, sfrutta al massimo il filo illogico di internet. Siti di poesie e forum diventano ben presto la sua casa, così le varie discussioni acquistano il sapore del pane quotidiano. Cercare e non trovare, difendersi a colpi di cartapesta, ragionare più del dovuto, infine capire che la meta è sempre la stessa, sono le strade a cambiare volto: queste le costanti del suo cammino in poesia. Gestisce Versinvena, un forum di scrittura creativa assieme a Roberta D’Aquino. Fa parte della redazione de I Giovin/astri di Kolibris. Cura il suo blog personale.

Michele Porsia - da “Bianchi girari”





Senza temere la parola e già a partire dal titolo centrato e particolarissimo di questa silloge inedita – titolo-chiave -, Porsia costruisce una piccola bibbia che trascrive con l’amore e la dedizione di un amanuense. Disegna ad uno ad uno i suoi Bianchi girari (in "Voci della luna 48", Ottobre 2010), fantastiche bordure di una scrittura arrivata a noi splendente e intatta.

Lontana, nonostante il richiamo umanistico, dall’apparire “già sentita” o “antica”, la scrittura di Michele Porsia rivà fino alle origini, traccia quasi un’antropologia dell’archeologo indefesso, costante, piegato sul suo lavoro. Egli scava per cercare le ossa, i corpi stretti calcificati tra loro e, dietro questi, cerca ben oltre e intende trovare il “primum” della parola, il suo inizio (“il diario dello scavo / poema nella stratigrafia delle parole”). Il lavoro di Porsia procede per sottrazione, eliminazione di strati e sovrastrutture. E’, certamente, una ricerca costante, un “riportare alla luce” ma anche un lavoro di catalogazione, registrazione e racconto. Dall’inizio – da capo – tutto riparte primo, puro, non toccato (Ma forse / non aveva ancora nome l’amore / e la morte) così come la prima lettera di un manoscritto, l’incipit fregiato, un grande inizio che attiri. Sembra si sfiori l’impasse: è parola-pietra liscia e nuda che scintilla appena riemersa dall’acqua e, insieme, bianco girare nient’affatto spoglio e modesto? Non deve spaventare il contrasto, dall’impasse si esce pensando che Porsia probabilmente conosce il peso di una poesia che si innalza dal colloquialismo quotidiano e fa un salto all’indietro – ma così, forse, proprio più in alto e dunque liberatorio -, una poesia preziosa che costa impegno e precisione, dorature, crescenza e perizia, senza che questo appesantisca il senso e l’operazione, anzi, facendo solo intravedere l’intenzione. La storia umana del poeta – visibile a tratti e quindi mai troppo centrale nel discorso – e la storia di tutti mancano qualche processo troppo lontano, troppo pulviscolare, non vogliono sentire ragioni: partono dal detto, dal pronunciato, pure se questo dovesse significare cominciare il “lavoro dell’appartenenza”, la ricerca degli antenati da poche sillabe, da una lallazione incerta.
Porsia a volte scava con l’acribia del tecnico, a volte trivella con più forza e lo confessa attraverso alcune figure e correlativi che funzionano bene. Ma il poeta, in realtà, non scava che la parola, perdendola anche (e per fortuna) ogni tanto, da una bic (“è stato come perdere una biro. / Svanita nella mano: /era una bic. Per strada in bicicletta”) o in frammenti di testo. Perché la costruzione è lunga, il lavoro arduo, il tempo quasi un nemico.

anna ruotolo

*** 


verba volant
non è un filo. La parola è pensiero in polvere, il residuo grigio di una
materia cerebrale.
Celebra la cenere, la terra. Arretra, se temi la parola, ma poni prima un
fermacarte sulla fossa, che indichi il pericolo di questo luogo.
O il vento, senza neppure chiedertelo, prenderà la scrittura e la porterà
sulla tua bocca.
Mettici una pietra sopra. Tu temi la parola perché vola.
Tu temi la parola perché vuole



a C.

I. li hanno ritrovati sottoterra
in una pagina di argilla,
in un abbraccio
così lungo da consumare il corpo.
Dalla pelle alla carne
le carezze
allentate fino alle ossa intrecciate tra le gambe.
Ischio e coccige
mischiati a qualche selce,
il femore e la tibia
incrociati (per essere vicini)
li hanno ritrovati nudi, primitivi,
in fragili frantumi nella nebbia.
Nella pianura di Valdaro
la saliva è divenuta polvere,
il diario dello scavo
poema nella stratigrafia delle parole
un verso dopo l’altro verso l’origine del mondo




II. la caligine, e i teschi
sono apparsi in una forma cardiaca
sulle spine
dorsali, scarne trame quotidiane
disegnate nei quadrati
un metro per un metro. Un abbraccio
di vetro esumato per divenire
friabile incrocio
di omero e di ulna -che non venga in questo luogo
chi non è mai riuscito
ad annodarsi dall’interno con un altroil
canto segue
Jorge Enrique Adoum, un’ombra
che attraversa la pagina per un istante solo.
Si ricompone il tempo,
una pangea
che sovrappone a Sumpa
la periferia di Mantova.
L’archeologia del sentimento è stata un unico cantiere
in cui venne la parola nera a chiederci,
a trovarci per tradire il silenzio
per rimanere nascosti in un doppio incavo di terra



III. sapremo dalle analisi di laboratorio i loro sessi
il colore dei capelli,
gli occhi,
faranno maschere di cera
per imitare i tratti
eppure il codice genetico, la radice di un dente
non potrà restituirci la parola. Niente.
Ma forse
non aveva ancora nome l’amore
e la morte
faceva parte della vita, che veniva dissepolta, la voce
di un pazzo che grida:
- io con la morte ci faccio l’amore -                                                            
 l’amore con la morte in allitterazione



ma il corpo perdura nella sua scomposizione.
La federa non ha tenuto l’odore del respiro
(è bastato un cambio d’aria, un risveglio)
le mani o le foglie di nelumbo
sono sul torace che inizia a putrefare.
La parola è persa
di nuovo nella casa
perché non basta il culto del defunto.
Ti starei accanto fingendo di dormire
nonostante il giorno



è stato come perdere una biro.
Svanita nella mano:
era una bic. Per strada in bicicletta
mi volto indietro, per cercarla.
Niente euridice. Neppure l’ombra. Bramo.
Un’ora di ritardo, si fa buio;
non è neanche a casa ad aspettarmi;
rovisto tra le stoviglie. Veglio
(nel frattempo giro
nell’isola di una parentesi curva
del tempo dilatato del dolore. Frantumato)

.
 
Michele Porsia è nato a Termoli il sei maggio 1982. Vive a Firenze.
Selezionato da Andrea Sirotti e da Vittorio Biagini per Nodo Sottile 5, ha preso parte dal 27 al 30 Settembre del 2007 a un laboratorio a cura di Antonella Anedda e Gianmario Villalta. Nel 2008 è stata pubblicata Nodo sottile 5 un’antologia edita da Le Lettere con alcuni suoi testi. Nel 2009 ha vinto il premio Cose a parole indetto da Giulio Perrone editore che ha pubblicato Sintomi di Alofilia nella collana Lab. Nello stesso anno ha partecipato al Parma poesia Festival e alla Biennale di Skopje dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Tra il 15 e il 19 febbraio 2010 alcuni suoi testi sono stati trasmessi durante il programma Fharenheit di Radio Rai 3. È stato finalista di Subway 2010 ed è perciò presente nell’antologia del premio distribuita in metropolitana. È stato segnalato al premio Lorenzo Montano 2010 con la raccolta inedita Bianchi Girari e una selezione di testi tratti da questa è arrivata terza al premio Renato Giorgi 2010. È presente su Absolutepoetry con alcune sue poesie, una registrazione audio.
Si occupa inoltre di architettura e di arti figurative, fa parte di Hanife Ana Teatro Jazz con cui ha collaborato nella realizzazione di alcuni video.
 
(articolo già pubblicato in Giovin/astri di Kolibris)